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giovedì, novembre 30, 2006

Scalare sui massi, ovvero Bouldering



Sin dagli anni ’70, i massi erratici, trasportati a valle e “sparpagliati” dall’ultima glaciazione, sono stati un terreno di allenamento per arrampicatori ed alpinisti.
Che cos’è il bouldering? «È una delle specialità dell’arrampicata sportiva . Si pratica su blocchi rocciosi alti solo qualche metro. Gli appigli sono, a volte, così minuscoli che persino le variazioni meteorologiche, un po’ di umidità in più o in meno, possono modificare la possibile presa».
È una disciplina in cui conta la forza esplosiva, la tecnica e la coordinazione. Sui massi non ci sono chiodi e la sicurezza è offerta dai materassi speciali (crash-pad) che parano la caduta. Per essere un buon boulder occorre far lavorare il cervello: è fondamentale osservare, valutare, ragionare su un percorso. Tecnicamente si chiamano “problemi da risolvere”.
I blocchi più famosi sono quelli della foresta di Fontainbleau, vicino a Parigi. In Italia, specie nelle zone alpine a formazione calcarea, nelle vicinanze di qualche picco è facile trovare grossi massi rocciosi rimasti lì dopo un crollo avvenuto in epoca lontana. Su questi massi un occhio attento può, a volte, scorgere piccole tracce di polvere bianca (non è antrace, è magnesite, che aiuta la presa delle dita).
L’arrampicata sportiva è oggi una vera e propria disciplina sportiva. È nata su rocce naturali, su pareti di fondovalle, spesso lisce e ostili al primo sguardo, trascurate dagli alpinisti, ma valorizzate e attrezzate dai climbers gli arrampicatori.
Se l’alpinismo pone la conquista della vetta come fine unico, con la conseguente accettazione dell’imponderabile e dei fattori di rischio oggettivi, l’arrampicatore si dedica, eliminata ogni componente di pericolo, ad un’affascinante ed atletica danza verticale, estrema e pulita.
Un importante passo in avanti nello svincolare questa pratica sportiva dall’ambiente montano ed alpino, è stata la rapida diffusione di strutture che riproducono al coperto le caratteristiche delle pareti rocciose. Questi muri o grotte artificiali allestiti in palestre e centri sportivi, hanno fatto divenire l’arrampicata un’attività metropolitana, ludica, sportiva ed agonistica, in totale sicurezza, praticabile tutto l’anno, permettendo un allenamento continuativo che ha innalzato il livello tecnico atletico dei partecipanti ed ha esteso il campo degli appassionati.
Molti si dedicano all’alpinismo classico o al free-climbing in estate, ma le pareti della palestra rimangono un appuntamento fisso. Dalla conquista della vetta siamo passati al gioco.
Il bouldering è un’ulteriore estremizzazione dell’arrampicata: niente corda, quattro, cinque movimenti molto difficili, al limite della sfida con la forza di gravità. La facile accessibilità all’arrampicata in palestra, la convivialità che si vive in questo ambiente, la sfida per superare un passaggio possono rubare anche tutta una serata.
Può sembrare al limite del patologico, ma in realtà quando si comincia l’arrampicare sui blocchi la passione ti travolge: è un gesto sportivo veloce, dinamico, senza necessità di imbraco, di un compagno che ti aiuti. La ricerca estrema del passaggio più difficile ed il continuo confronto con altri atleti è stimolante e coinvolgente.
Chi inizia l’arrampicata sportiva si trova dopo qualche tempo a personalizzare la propria passione in una disciplina piuttosto che in un'altra: qualcuno rimane legato all’alpinismo tradizionale, qualcuno sceglie il bouldering, altri, molti, scelgono la falesia, o la parete artificiale, sulla quale si praticano le diverse gare: di difficoltà, di velocità, il duello, il lavorato.

mercoledì, novembre 29, 2006

Una culla vuota, per fortuna

























La “Culla per la vita” vuol rappre-sentare a Firenze un’alternativa concreta agli infanticidi e all’abbandono dei bambini nei cassonetti.


È un problema che non accenna a diminuire e che, secondo i dati del mi-nistero della Pari opportunità, riguarda in Italia circa 300 bambini all'anno ab-bandonati – quelli che vengono segnalati – «vivi o morti». Nonostante sia in vigore il Dpr 396 del 2000 che consente di non menzionare il nome della madre nel certificato di nascita, garantendone il totale anonimato e permettendo un avvio più rapido delle pratiche per l’adozione del neonato, sono ancora tante le donne clandestine, emarginate, escluse dai canali di comunicazione, che si trovano sole di fronte a una circostanza tanto difficile come una gravidanza indesiderata.
Proprio per questo il Movimento per la Vita, associazione fondata dall’on. Carlo Casini, ha dato vita a quella che è la culla; segno importante per la città di Firenze, che nel 1445, era di esempio in tutta Europa, grazie proprio all’inaugurazione della “Rota” dell’Istituto Degl’Innocenti. I bambini venivano qui abbandonati in una specie di pila dell'acqua santa, poi sostituita, nella seconda metà del XVII secolo, da una ruota girevole in pietra rimasta in uso fino al 1875. La culla di Firenze non è la prima e unica in Italia, ma ne esistono altre nove, tutte pronte ad accogliere qualcuno.

Al momento in nessuna culla è stato lasciato un bambino e questo, quindi, potrebbe apparire come un fallimento. «Ma non è cosi – commenta Casini –, la Culla per la vita ha portato i suoi frutti». Ed è proprio vero, la culla ha avuto i suoi risultati e questo proprio nella città di Firenze. Una donna incinta, di nazionalità rumena, passando davanti alla culla, in piazza San Remigio, si è accorta dell’iniziativa e si è rivolta al Movimento per la Vita per essere assistita ed aiutata a dare alla luce il suo piccolo. Adesso il bambino è nato e sta bene.
La culla non è soltanto di uso pratico ma vuol rappresentare, nella forma più concreta, uno stimolo a sensibilizzare l’opinione collettiva alla salvaguardia della vita. Da sottolineare - uno degli strumenti fondamentali di cui dispone l’associazione – il numero verde Sos Vita 800-813000, gratuito da qualunque telefono in tutta Italia e attivo 24 ore su 24, a cui rispondono operatori preparati e dotati di una consolidata esperienza. «Un altro problema – spiega Casini – è che in Italia non ci sono bambini da adottare. Spesso sono cercato da coppie di persone valide che vogliono adottare un bambino, ma la risposta che dò e spesso negativa visto che non abbiamo bambini. Spesso vengono colpevolizzate le leggi per le adozioni che sembrano essere lente e complesse ma in realtà le leggi sono molto veloci, in particolar modo per quei bambini che vivono in ambienti diseducativi».
Inoltre il ricorrere all’aborto, sembra, in questi ultimi tempi, diventato il si-stema migliore per sopperire a problemi di gravidanze non desiderate. Gli aborti “terapeutici” hanno superato i tre milioni e mezzo, con una media di poco inferiore ai duecentomila all’anno e un rapporto annuo che è di un aborto ogni tre o quattro nati vivi. Dati, questi, e fatti, che spesso rimangono all’oscuro.

lunedì, novembre 27, 2006

Aiuto! Stanno scomparendo i ghiacciai





















Non è una novità. Ma il grido d'allarme per il rischio di scomparsa
definitiva dei ghiacciai alpini, lanciato da chi ha trascorso le ferie in
alta quota in Valle d'Aosta o in Svizzera, non è suonato mai tanto forte
come quest'anno. Come mai, ci si domanda, dopo un inverno così ricco
di neve ed un'estate così piovosa, con temperature agostane così
basse, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci non solo non si è
arrestato, ma sembra avere subìto un'ulteriore accelerazione?
In attesa di riscontri scientifici seri, ci limitiamo a costatare i fatti,
preoccupati non solo per la perdita delle nevi non più “eterne” che
coronavano le nostre Alpi, ma anche per l’acqua che già sta mancando
alle nostre pianure, sempre meno fertili.
Nella foto il ghiacciaio del Gorner che dalle vette del Rosa scende
verso Zermatt in Svizzera, ridotto alla metà di quella immensa colata
di ghiaccio che la nostra stessa generazione aveva conosciuto.

venerdì, novembre 10, 2006

La << GOCCIA>> di Paola Siani


Riporto questa esperienza perché ognuno di noi può essere nel suo piccolo una “goccia”, che unita a tante altre “dissetano” molti nostri fratelli i quali hanno il diritto del nostro aiuto.




“Perché il male trionfi, basta che i buoni non facciano niente”, Raoul Follerau.

”Farsi uno con tutti”, l’Ideale dell’Unità: Chiara Lubich.

Queste parole si sono scolpite nella mente come un marchio infuocato, dandomi una spinta nel mio vivere quotidiano. Nella sala operatoria dell’ospedale in cui lavoro, riscopro la concretezza dell’amore di un gigante della carità come San Camillo De Lellis, reso visibile con le sue opere accanto ai più deboli, in ogni angolo della terra.
In seguito l’incontro con una giovane religiosa venuta dal Burkina Faso. E’ incaricata di guidare una scuola di formazione di molte giovanette. Dà loro una preparazione per la vita anche professionalmente, la donna in Africa va aiutata a risorgere.
Circostanze straordinarie, ma non del tutto casuali, mi spingono al mio primo viaggio in Africa. Al “Center Menager Feminin”.
Constato con i miei occhi questa gioventù, così piena di vita, di calore, di colori, che non potrò mai dimenticare. Sentendomi come una loro mamma, mi esprimono la necessità di avere nella scuola nuove macchine da cucire e telai per la tessitura a mano.
Mi sono sentita grata della fiducia che tutte loro hanno riposto nella mia persona, ma al tempo stesso ho provato un grande dolore per l’impotenza di non essere in grado di aiutarle nella loro richiesta.
Cosa potevo fare io da sola? Dove avrei potuto reperire la somma necessaria per l’acquisto delle macchine da cucire per queste fanciulle che sono il futuro di quest’Africa splendida?
Ne parlo con gli amici. In un anno di lavoro, nel silenzio dei giorni che seguono, mi si aprono strade impensabili, tante, tante storie d’amore meravigliose.
Al “Center Menager Feminin” sono arrivate 25 macchine da cucire e 5 telai nuovi. Si era aperta una breccia che fa sperare, la condivisione è possibile è stata l’occasione per parlare con la gente dell’Africa in un modo nuovo dei suoi problemi.
L’Africa ha bisogno di risorgere anche appoggiando questi micro-progetti: se aspettiamo di vedere realizzati i grandi progetti.
L’Africa non risorgerà mai, ha bisogno di essere amata subito, nel concreto. L’Africa non è lontana da noi, abbiamo sotto i nostri occhi lo sguardo degli Africani che vivono nelle nostre città: sembrano vuoti perché in quegli occhi non si riflette più la loro Africa, ma manca loro la terra, il cielo, il sole.
Dobbiamo sentirci in prima linea in questa condivisione, noi tutti che, pur vivendo nel nostro vacillante e precario benessere, mettiamo ogni giorno sulla nostra tavola il pane quotidiano. Con l’esperienza vissuta in Burkina Faso sono stata contagiata da un male incurabile, il mal d’Africa.
Quando pensavo al mal d’Africa, pensavo a un sentimento nostalgico che resta dentro di noi per una cosa bella, oggi posso dire che è qualcosa di più grande.
Nel rispondere a quella chiamata così forte, ma non certo improvvisa, mi sono trovata letteralmente spiazzata dalle condizioni di indigenza in cui versano quelle popolazioni, soprattutto i bambini.
Tanti bambini, ti guardano, ti salutano, ti sorridono, sono tutti bellissimi. Guardo i loro visini: sono senza emozioni come quelle degli uomini che hanno già vissuto, perché conoscono già le ingiustizie del mondo.
Davanti a quella porzione di umanità così fortemente provata, mi sono sentita stimolata a lavorare con le missionarie camilliane che operano lì.
Loro mi presentano l’urgenza di tanti bambini che hanno bisogno di aiuto. Ne parlo con parenti, amici e vicini di casa i quali rispondono con immediatezza a questo progetto di così grande solidarietà. Le adozioni a distanza via via si allargano a macchia d’olio.
Ben presto mi rendo conto anche di un’altra cruda realtà, la realtà di tanti, tanti bambini con gravi patologie che non trovano soluzioni possibili lì nel loro paese. In Africa chi nasce storpio, rimane storpio.
Mi ritrovo tra le braccia il piccolo Gastien, vispo e pieno di vita, di tre mesi, nato con una grave malformazione al braccino destro, quasi solo un moncherino, tutto rattrappito verso la spalla. La decisione è immediata, dopo una lunga e penosa trafila tra medici, ospedali e permessi e provvidenza, Gastien è a casa nostra con la sua giovane mamma, resta per 18 mesi, subirà 6 interventi e riacquista una buona funzionalità del suo braccino.
Siamo tornati a trovarlo a Ouagaoudougu nella casetta dove vive con i suoi genitori: gioca, va all’asilo, in bicicletta e, indicando con la manina in alto verso il cielo, chiede alla mamma di prendere l’“avion” per andare a trovare nonna Paola e nonno Oreste.
Si presentano altre situazioni, una bambina è gravemente ustionata perché cade inciampando nella lampada a petrolio nella sua capanna e ne resta fortemente deturpata. L’altra piccolina nasce con la gambina ritorta all’indietro, non potrà camminare se non l’aiutiamo: anche lei ora è qui!
Nella ricerca di un aiuto e di una garanzia ad una continuità a sostegno di questi progetti umanitari, che non avrei certo potuto continuare a sostenere da sola, incontro gli amici di “Nessun luogo è lontano”, associazione no profit già da tempo impegnata socialmente per i problemi dell’immigrazione; in particolare mi colpisce la loro campagna umanitaria di accoglienza per quei bambini con gravi patologie che non possono essere curate nei loro paesi di origine.
E’ stato fondamentale: ci siamo riscoperti intenti comuni, che corrispondono al nostro progetto d’amore, a sostegno dei più deboli.
Si inserisce così il nuovo progetto per le adozioni a distanza: l’AIDS sta falcidiando tante famiglie e gli orfani sono tanti. Nasce così l’apporto de “LA GOCCIA”: la nostra piccola goccia al momento dà a 160 bambini in Africa la possibilità di riacquistare quella dignità dovuta a ogni essere umano che viene al mondo.
La pronta adesione a questo progetto di solidarietà di 160 famiglie in Europa, che hanno apportato con la loro adesione un ponte d’amore. Ci auguriamo solo che cresca, che si raddoppi, quadruplichi ecc…..mi rendo conto, è solo una goccia, ma tante gocce fanno un mare di bene.
Nell’intimo della propria coscienza, ogni uomo sente quella voce è una legge che non è lui a darsi. Possiamo opporvi resistenza, possiamo metterla a tacere, ma quella voce rimane, a volte la soffochiamo, non si tratta di cattiva volontà, solo non riusciamo a distinguerla: soffocati dai nostri progetti non riusciamo ad ascoltare chi ci passa accanto e ha bisogno di noi.
L’Africa chiede soprattutto giustizia, non la solita beneficenza di noi “ricchi Epuloni” è una ricchezza di culture di cui noi occidentali ignoriamo completamente l’esistenza.
Se muore una mamma e lascia orfani i suoi tre figli, la mamma della casetta accanto li prende insieme ai suoi, l’anziano è al centro della famiglia, non emarginato.
Da noi è la stessa cosa?
Ecco cos’è per me il mal d’Africa: voglia di condividere, finchè avrò vita e un briciolo di forze, voglio tornarci. E’ sotto i nostri occhi oggi più che mai l’inutilità di tutte le guerre: la condivisione di tutti i beni della terra è l’unica via possibile per arrivare a quella fratellanza universale che tutti noi ci auspichiamo.
Solo con la cultura del dare, della condivisione, consegneremo un mondo unito alle generazioni che ci seguiranno.
Paola Siani cell.3398274101
piccoloprincipe@nessunluogoelontano.it

associazione@nessunluogoelontano.it
www.nessunluogoelontano.it

giovedì, novembre 02, 2006

12 Novembre M. Pellecchia

















Sperando che il tempo si mantenga ancora buona, questa gita è anche per le famiglie con bambini piccoli. Si arriva in fatti in macchina fino alla pineta di Monteflavio (vedi descrizione che segue), la cui area è attrezzata con giochi e spazio per pic-nic. C’è la possibilità di raccogliere della legna nel bosco adiacente (portare aceta e carta per accendere il fuoco), si può preparare così la brace negli appositi posti già forniti di griglia. Per chi poi desidera fare due passi anche con i bambini, per digerire le salsicce e le bruschette o altre lecornie, accompagnate da bevande varie, che ognuno porterà secondo i propri gusti e capacità di consumo, una comoda carrareccia ci aspetta. Anche le carrozzine qui possono circolare, e lungo il percorso si può ammirare il bel panorama sul monte Pellecchia. Ognuno può scegliere tranquillamente la lunghezza del tratto da percorrere.
Per chi invece volesse continuare la gita, legga la descrizione completa dell’escursione.
DESCRIZIONE
Chi volesse camminare un pò, oltrepassata una sbarra e si percorre la carrareccia lungo la Serra dei Ricci ammirando la dorsale del Monte Pellecchia. Si giunge dopo 1 h alla "casa del pastore" (anche qui ci sono tavoli con panche). Chi invece vuole salire sulla cima del Pellecchia può proseguire prendendo il sentiero a destra della casa. Si attraversa una zona boscosa fino a che essa si dirada (1300 m h. 0,50) in prossimità della cresta. Seguendola in direzione Sud si arriva in cima h. 0,25. Il Pellecchia è il monte più alto della catena dei Lucretili. Sulla vetta è installata una croce ed una pala d'elica (nel lontano 1960 qui cadde un aereo); bellissimo il colpo d'occhio che si riceve. Se si è fortunati si può vedere volteggiare anche qualche aquila.
Il ritono (ca. h. 2.00) avviene seguendo lo stesso itinerario della salita.