Riporto questa esperienza perché ognuno di noi può essere nel suo piccolo una “goccia”, che unita a tante altre “dissetano” molti nostri fratelli i quali hanno il diritto del nostro aiuto.
“Perché il male trionfi, basta che i buoni non facciano niente”, Raoul Follerau.
”Farsi uno con tutti”, l’Ideale dell’Unità: Chiara Lubich.
Queste parole si sono scolpite nella mente come un marchio infuocato, dandomi una spinta nel mio vivere quotidiano. Nella sala operatoria dell’ospedale in cui lavoro, riscopro la concretezza dell’amore di un gigante della carità come San Camillo De Lellis, reso visibile con le sue opere accanto ai più deboli, in ogni angolo della terra.
In seguito l’incontro con una giovane religiosa venuta dal Burkina Faso. E’ incaricata di guidare una scuola di formazione di molte giovanette. Dà loro una preparazione per la vita anche professionalmente, la donna in Africa va aiutata a risorgere.
Circostanze straordinarie, ma non del tutto casuali, mi spingono al mio primo viaggio in Africa. Al “Center Menager Feminin”.
Constato con i miei occhi questa gioventù, così piena di vita, di calore, di colori, che non potrò mai dimenticare. Sentendomi come una loro mamma, mi esprimono la necessità di avere nella scuola nuove macchine da cucire e telai per la tessitura a mano.
Mi sono sentita grata della fiducia che tutte loro hanno riposto nella mia persona, ma al tempo stesso ho provato un grande dolore per l’impotenza di non essere in grado di aiutarle nella loro richiesta.
Cosa potevo fare io da sola? Dove avrei potuto reperire la somma necessaria per l’acquisto delle macchine da cucire per queste fanciulle che sono il futuro di quest’Africa splendida?
Ne parlo con gli amici. In un anno di lavoro, nel silenzio dei giorni che seguono, mi si aprono strade impensabili, tante, tante storie d’amore meravigliose.
Al “Center Menager Feminin” sono arrivate 25 macchine da cucire e 5 telai nuovi. Si era aperta una breccia che fa sperare, la condivisione è possibile è stata l’occasione per parlare con la gente dell’Africa in un modo nuovo dei suoi problemi.
L’Africa ha bisogno di risorgere anche appoggiando questi micro-progetti: se aspettiamo di vedere realizzati i grandi progetti.
L’Africa non risorgerà mai, ha bisogno di essere amata subito, nel concreto. L’Africa non è lontana da noi, abbiamo sotto i nostri occhi lo sguardo degli Africani che vivono nelle nostre città: sembrano vuoti perché in quegli occhi non si riflette più la loro Africa, ma manca loro la terra, il cielo, il sole.
Dobbiamo sentirci in prima linea in questa condivisione, noi tutti che, pur vivendo nel nostro vacillante e precario benessere, mettiamo ogni giorno sulla nostra tavola il pane quotidiano. Con l’esperienza vissuta in Burkina Faso sono stata contagiata da un male incurabile, il mal d’Africa.
Quando pensavo al mal d’Africa, pensavo a un sentimento nostalgico che resta dentro di noi per una cosa bella, oggi posso dire che è qualcosa di più grande.
Nel rispondere a quella chiamata così forte, ma non certo improvvisa, mi sono trovata letteralmente spiazzata dalle condizioni di indigenza in cui versano quelle popolazioni, soprattutto i bambini.
Tanti bambini, ti guardano, ti salutano, ti sorridono, sono tutti bellissimi. Guardo i loro visini: sono senza emozioni come quelle degli uomini che hanno già vissuto, perché conoscono già le ingiustizie del mondo.
Davanti a quella porzione di umanità così fortemente provata, mi sono sentita stimolata a lavorare con le missionarie camilliane che operano lì.
Loro mi presentano l’urgenza di tanti bambini che hanno bisogno di aiuto. Ne parlo con parenti, amici e vicini di casa i quali rispondono con immediatezza a questo progetto di così grande solidarietà. Le adozioni a distanza via via si allargano a macchia d’olio.
Ben presto mi rendo conto anche di un’altra cruda realtà, la realtà di tanti, tanti bambini con gravi patologie che non trovano soluzioni possibili lì nel loro paese. In Africa chi nasce storpio, rimane storpio.
Mi ritrovo tra le braccia il piccolo Gastien, vispo e pieno di vita, di tre mesi, nato con una grave malformazione al braccino destro, quasi solo un moncherino, tutto rattrappito verso la spalla. La decisione è immediata, dopo una lunga e penosa trafila tra medici, ospedali e permessi e provvidenza, Gastien è a casa nostra con la sua giovane mamma, resta per 18 mesi, subirà 6 interventi e riacquista una buona funzionalità del suo braccino.
Siamo tornati a trovarlo a Ouagaoudougu nella casetta dove vive con i suoi genitori: gioca, va all’asilo, in bicicletta e, indicando con la manina in alto verso il cielo, chiede alla mamma di prendere l’“avion” per andare a trovare nonna Paola e nonno Oreste.
Si presentano altre situazioni, una bambina è gravemente ustionata perché cade inciampando nella lampada a petrolio nella sua capanna e ne resta fortemente deturpata. L’altra piccolina nasce con la gambina ritorta all’indietro, non potrà camminare se non l’aiutiamo: anche lei ora è qui!
Nella ricerca di un aiuto e di una garanzia ad una continuità a sostegno di questi progetti umanitari, che non avrei certo potuto continuare a sostenere da sola, incontro gli amici di “Nessun luogo è lontano”, associazione no profit già da tempo impegnata socialmente per i problemi dell’immigrazione; in particolare mi colpisce la loro campagna umanitaria di accoglienza per quei bambini con gravi patologie che non possono essere curate nei loro paesi di origine.
E’ stato fondamentale: ci siamo riscoperti intenti comuni, che corrispondono al nostro progetto d’amore, a sostegno dei più deboli.
Si inserisce così il nuovo progetto per le adozioni a distanza: l’AIDS sta falcidiando tante famiglie e gli orfani sono tanti. Nasce così l’apporto de “LA GOCCIA”: la nostra piccola goccia al momento dà a 160 bambini in Africa la possibilità di riacquistare quella dignità dovuta a ogni essere umano che viene al mondo.
La pronta adesione a questo progetto di solidarietà di 160 famiglie in Europa, che hanno apportato con la loro adesione un ponte d’amore. Ci auguriamo solo che cresca, che si raddoppi, quadruplichi ecc…..mi rendo conto, è solo una goccia, ma tante gocce fanno un mare di bene.
Nell’intimo della propria coscienza, ogni uomo sente quella voce è una legge che non è lui a darsi. Possiamo opporvi resistenza, possiamo metterla a tacere, ma quella voce rimane, a volte la soffochiamo, non si tratta di cattiva volontà, solo non riusciamo a distinguerla: soffocati dai nostri progetti non riusciamo ad ascoltare chi ci passa accanto e ha bisogno di noi.
L’Africa chiede soprattutto giustizia, non la solita beneficenza di noi “ricchi Epuloni” è una ricchezza di culture di cui noi occidentali ignoriamo completamente l’esistenza.
Se muore una mamma e lascia orfani i suoi tre figli, la mamma della casetta accanto li prende insieme ai suoi, l’anziano è al centro della famiglia, non emarginato.
Da noi è la stessa cosa?
Ecco cos’è per me il mal d’Africa: voglia di condividere, finchè avrò vita e un briciolo di forze, voglio tornarci. E’ sotto i nostri occhi oggi più che mai l’inutilità di tutte le guerre: la condivisione di tutti i beni della terra è l’unica via possibile per arrivare a quella fratellanza universale che tutti noi ci auspichiamo.
Solo con la cultura del dare, della condivisione, consegneremo un mondo unito alle generazioni che ci seguiranno.
Paola Siani cell.3398274101
piccoloprincipe@nessunluogoelontano.it
associazione@nessunluogoelontano.it
www.nessunluogoelontano.it
“Perché il male trionfi, basta che i buoni non facciano niente”, Raoul Follerau.
”Farsi uno con tutti”, l’Ideale dell’Unità: Chiara Lubich.
Queste parole si sono scolpite nella mente come un marchio infuocato, dandomi una spinta nel mio vivere quotidiano. Nella sala operatoria dell’ospedale in cui lavoro, riscopro la concretezza dell’amore di un gigante della carità come San Camillo De Lellis, reso visibile con le sue opere accanto ai più deboli, in ogni angolo della terra.
In seguito l’incontro con una giovane religiosa venuta dal Burkina Faso. E’ incaricata di guidare una scuola di formazione di molte giovanette. Dà loro una preparazione per la vita anche professionalmente, la donna in Africa va aiutata a risorgere.
Circostanze straordinarie, ma non del tutto casuali, mi spingono al mio primo viaggio in Africa. Al “Center Menager Feminin”.
Constato con i miei occhi questa gioventù, così piena di vita, di calore, di colori, che non potrò mai dimenticare. Sentendomi come una loro mamma, mi esprimono la necessità di avere nella scuola nuove macchine da cucire e telai per la tessitura a mano.
Mi sono sentita grata della fiducia che tutte loro hanno riposto nella mia persona, ma al tempo stesso ho provato un grande dolore per l’impotenza di non essere in grado di aiutarle nella loro richiesta.
Cosa potevo fare io da sola? Dove avrei potuto reperire la somma necessaria per l’acquisto delle macchine da cucire per queste fanciulle che sono il futuro di quest’Africa splendida?
Ne parlo con gli amici. In un anno di lavoro, nel silenzio dei giorni che seguono, mi si aprono strade impensabili, tante, tante storie d’amore meravigliose.
Al “Center Menager Feminin” sono arrivate 25 macchine da cucire e 5 telai nuovi. Si era aperta una breccia che fa sperare, la condivisione è possibile è stata l’occasione per parlare con la gente dell’Africa in un modo nuovo dei suoi problemi.
L’Africa ha bisogno di risorgere anche appoggiando questi micro-progetti: se aspettiamo di vedere realizzati i grandi progetti.
L’Africa non risorgerà mai, ha bisogno di essere amata subito, nel concreto. L’Africa non è lontana da noi, abbiamo sotto i nostri occhi lo sguardo degli Africani che vivono nelle nostre città: sembrano vuoti perché in quegli occhi non si riflette più la loro Africa, ma manca loro la terra, il cielo, il sole.
Dobbiamo sentirci in prima linea in questa condivisione, noi tutti che, pur vivendo nel nostro vacillante e precario benessere, mettiamo ogni giorno sulla nostra tavola il pane quotidiano. Con l’esperienza vissuta in Burkina Faso sono stata contagiata da un male incurabile, il mal d’Africa.
Quando pensavo al mal d’Africa, pensavo a un sentimento nostalgico che resta dentro di noi per una cosa bella, oggi posso dire che è qualcosa di più grande.
Nel rispondere a quella chiamata così forte, ma non certo improvvisa, mi sono trovata letteralmente spiazzata dalle condizioni di indigenza in cui versano quelle popolazioni, soprattutto i bambini.
Tanti bambini, ti guardano, ti salutano, ti sorridono, sono tutti bellissimi. Guardo i loro visini: sono senza emozioni come quelle degli uomini che hanno già vissuto, perché conoscono già le ingiustizie del mondo.
Davanti a quella porzione di umanità così fortemente provata, mi sono sentita stimolata a lavorare con le missionarie camilliane che operano lì.
Loro mi presentano l’urgenza di tanti bambini che hanno bisogno di aiuto. Ne parlo con parenti, amici e vicini di casa i quali rispondono con immediatezza a questo progetto di così grande solidarietà. Le adozioni a distanza via via si allargano a macchia d’olio.
Ben presto mi rendo conto anche di un’altra cruda realtà, la realtà di tanti, tanti bambini con gravi patologie che non trovano soluzioni possibili lì nel loro paese. In Africa chi nasce storpio, rimane storpio.
Mi ritrovo tra le braccia il piccolo Gastien, vispo e pieno di vita, di tre mesi, nato con una grave malformazione al braccino destro, quasi solo un moncherino, tutto rattrappito verso la spalla. La decisione è immediata, dopo una lunga e penosa trafila tra medici, ospedali e permessi e provvidenza, Gastien è a casa nostra con la sua giovane mamma, resta per 18 mesi, subirà 6 interventi e riacquista una buona funzionalità del suo braccino.
Siamo tornati a trovarlo a Ouagaoudougu nella casetta dove vive con i suoi genitori: gioca, va all’asilo, in bicicletta e, indicando con la manina in alto verso il cielo, chiede alla mamma di prendere l’“avion” per andare a trovare nonna Paola e nonno Oreste.
Si presentano altre situazioni, una bambina è gravemente ustionata perché cade inciampando nella lampada a petrolio nella sua capanna e ne resta fortemente deturpata. L’altra piccolina nasce con la gambina ritorta all’indietro, non potrà camminare se non l’aiutiamo: anche lei ora è qui!
Nella ricerca di un aiuto e di una garanzia ad una continuità a sostegno di questi progetti umanitari, che non avrei certo potuto continuare a sostenere da sola, incontro gli amici di “Nessun luogo è lontano”, associazione no profit già da tempo impegnata socialmente per i problemi dell’immigrazione; in particolare mi colpisce la loro campagna umanitaria di accoglienza per quei bambini con gravi patologie che non possono essere curate nei loro paesi di origine.
E’ stato fondamentale: ci siamo riscoperti intenti comuni, che corrispondono al nostro progetto d’amore, a sostegno dei più deboli.
Si inserisce così il nuovo progetto per le adozioni a distanza: l’AIDS sta falcidiando tante famiglie e gli orfani sono tanti. Nasce così l’apporto de “LA GOCCIA”: la nostra piccola goccia al momento dà a 160 bambini in Africa la possibilità di riacquistare quella dignità dovuta a ogni essere umano che viene al mondo.
La pronta adesione a questo progetto di solidarietà di 160 famiglie in Europa, che hanno apportato con la loro adesione un ponte d’amore. Ci auguriamo solo che cresca, che si raddoppi, quadruplichi ecc…..mi rendo conto, è solo una goccia, ma tante gocce fanno un mare di bene.
Nell’intimo della propria coscienza, ogni uomo sente quella voce è una legge che non è lui a darsi. Possiamo opporvi resistenza, possiamo metterla a tacere, ma quella voce rimane, a volte la soffochiamo, non si tratta di cattiva volontà, solo non riusciamo a distinguerla: soffocati dai nostri progetti non riusciamo ad ascoltare chi ci passa accanto e ha bisogno di noi.
L’Africa chiede soprattutto giustizia, non la solita beneficenza di noi “ricchi Epuloni” è una ricchezza di culture di cui noi occidentali ignoriamo completamente l’esistenza.
Se muore una mamma e lascia orfani i suoi tre figli, la mamma della casetta accanto li prende insieme ai suoi, l’anziano è al centro della famiglia, non emarginato.
Da noi è la stessa cosa?
Ecco cos’è per me il mal d’Africa: voglia di condividere, finchè avrò vita e un briciolo di forze, voglio tornarci. E’ sotto i nostri occhi oggi più che mai l’inutilità di tutte le guerre: la condivisione di tutti i beni della terra è l’unica via possibile per arrivare a quella fratellanza universale che tutti noi ci auspichiamo.
Solo con la cultura del dare, della condivisione, consegneremo un mondo unito alle generazioni che ci seguiranno.
Paola Siani cell.3398274101
piccoloprincipe@nessunluogoelontano.it
associazione@nessunluogoelontano.it
www.nessunluogoelontano.it
3 commenti:
Chiamarti Dono mi sembra un buon auspicio. Ogni uomo è "dono" per l'altro. Non c'è umanità dove non si sperimenta la condivisione; non c'è neppure dove non si abbraccia l'uomo o non lo si fa con vera fraternità.
Purtroppo l'umanità, o meglio, quei pochi che godono di una vita sterile fatta di poteri e di denaro, è gonfia di se stessa, non partecipa e non fa partecipare gli altri alla fratellanza. Si riempie i granai come se un giorno potesse godersi tanto frutto raccolto affamando i propri simili. Il mal di... non è solo d'Africa: esiste quello rumeno o più vicino ancora quello dietro l'angolo di casa nostra.
Allora se non abbiamo sperimentato nemmeno la gioia di aver dato un solo bicchere d'acqua a chi ne aveva di bisogno, non siamo mai nati, siamo dei morti che seppelliscono altri morti. La vita è un'altra cosa: è comunione d'amore, sentimenti e passioni che non muoiono mai perché vivificati dalla carezza di Dio.
Alessio di: www.amicodithebaron.blog.tiscli.it
Bellissimo e commovente esempio di umanità e fratellanza. Grazie per averlo condiviso con noi. Ciao
come alice: www.come_alice.blog.tiscali.it
Si,in effetti sono stato sul bivacco Bafile il giorno della prima nevicata.Peccato che il tempo non ci ha prmesso di proseguire per la vetta centrale.
A presto...Master
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