Non sono poche le persone che apprezzano la montagna e si cimentano su pareti attrezzate. I più esperti raggiungono le vette scalando le vie più impegnative, sia di roccia che di ghiaccio. Fra questi, però, spicca un’élite di persone che scalano le vette estreme del pianeta portandosi nello zaino lo snowboard, perché la loro discesa non la effettueranno lungo la via di salita, bensì lanciandosi lungo i pendii più ripidi delle pareti. Sono itinerari così severi che incutono paura anche al più esperto degli alpinisti. Chiunque, vedendo le fotografie o i filmati di queste discese, non può non provare un brivido. La vita di questi snowboarders è legata soltanto all’abilità che hanno nel dirigere la tavola; non esistono altri mezzi per rendere sicura la discesa. Ho conosciuto le imprese di uno fra i pionieri dello snowboard in altissima quota, Emilio Previtali. (http://www.freeridespirit.com). Mentre l’osservo, penso che ho davanti un uomo dall’apparenza comune, ma che dentro ha un qualcosa che pochi posseggono, un istinto che lo spinge ha fare nella vita qualcosa di straordinario, di estremo: per la maggior parte delle persone una vera pazzia. Mi spiega come ogni linea discendente può significare gioia e successo, ma anche pericolo e paura. I movimenti devono essere calcolati con rapidità, bisogna sentire la montagna tanto da prevederne l’andamento; dossi o curve, se affrontati con superficialità, possono tradursi persino nella morte, non esiste margine di errore. Per fare un esempio, è come prendere un’onda: devi capire quando è il momento per agganciarla, salirci sopra e lasciarti andare e quando invece è il momento di lasciarla. Dopo ogni impresa, col tempo, queste emozioni ti ritornano fuori lentamente. Ti ricordi di quei momenti dove eri consapevole del valore della vita e impari così a gestirla, a dosarla, ad affrontarla con decisione e volontà, soprattutto nei momenti più duri, quando ti sembra che non sia più tua e hai invece bisogno di riprenderla in mano. Gran parte del mio lavoro è insegnare ai corsi di formazione, a coloro cioè che saranno futuri insegnanti. Cerco di fare leva sulla passione, quello che sempre mi ha motivato in questo sport. Desidero perciò il più possibile comunicare questo, far venir fuori anche da loro le motivazioni per le quali hanno scelto questo sport. Far sì che possano a loro volta trasmetterle ad altri. Non è importante che uno diventi bravo o meno, l’importante è che ci metta tutto sé stesso; il resto viene da sé. P.S. stralci di un’intervista che ho fatto e sarà pubblicata sul n° 2/2007 della rivista Città Nuova.
(Vedi colonnina a destra informazione).
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1 commento:
Caro Dono, immagino che scendere liberamente come fa lui deve un'esperienza incredibilmente bella:la montagna, la neve, la solitudine!
Capisco anche che a quei livelli sono pochi a poter vivere certe emozioni!Io mi accontento delle belle escursioni che facciamo noi!
Grazie di questi stralci bellissimi che ci fai conoscere.
Ciao.
berardo
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